Streghe romane: sai chi erano? I segreti di roma
Roma e le sue streghe, chi erano queste donne, cosa facevano, perché erano temute, rispettate e addirittura amate? Non esistevano solo rituali oscuri o benefici, ma anche l’amatoria, la magia più diffusa a roma.
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I Romani erano un popolo profondamente religioso, convinto che ogni evento fosse influenzato dagli dèi e da forze invisibili. In questo contesto, la magia poteva apparire come un potere sovrannaturale del sacro, un mezzo per interagire con energie uniche che camminavano o erano vicine all’uomo comune. La società romana distingueva nettamente tra magia legittima e magia illecita.
La magia legittima comprendeva pratiche riconosciute o tollerate, spesso legate alle guarigioni, alla buona fortuna, all’amore, religione e all’interpretazione dei segni. Indovini, auguri, aruspici e guaritori operavano entro un quadro normativo e culturale considerato accettabile. Anche l’uso di erbe, amuleti e formule tradizionali rientrava nella sfera di ciò che i Romani potevano praticare senza entrare in conflitto con la legge cosmica o divina.
Diverso era il caso della magia illecita, chiamata veneficia o maleficia. Il termine veneficium originariamente indicava l’uso di veleni, ma con il tempo venne esteso a qualunque pratica magica ritenuta dannosa o ingannevole. Riti destinati a nuocere a un rivale, sortilegi per manipolare la volontà altrui o invocazioni ai morti erano considerati estremamente pericolosi sia per la vittima sia per la comunità. La Lex Cornelia de sicariis et veneficis, una legge creata nell’81 A.c, per punire le esecuzioni su commissioni, l’uso di veleni o pratiche magiche dannose, mostravano come lo Stato romano riconoscesse la magia illecita. In generale esso ci conferma che si riconosceva tutta la magia: buona e cattiva, ma quella cattiva era punita.
Un ruolo centrale, in questo mondo “stregonesco” uso questo termine, era occupato dalle figure femminili, che popolavano le pratiche quotidiane. Donne anziane, guaritrici, levatrici e indovine erano associate alla conoscenza di erbe, filtri e rituali domestici. Però, queste figure, erano sempre avvolte da un alone ambiguo: da un lato apprezzate come depositarie di saperi antichi e utili, dall’altro sospettate di poter sconfinare nell’illecito. Queste figure non sono altro che le streghe o meglio quello che dopo la caduta romana e l’arrivo del medioevo, furono chiamate streghe. Donne potenti, seducenti o minacciose, capaci di evocare demoni, mutare forme e manipolare i destini.
Le “sagae” nell’antica Roma: le nostre medium
Nel vasto panorama della magia romana, poche figure risultano affascinanti e tra queste ritroviamo le sagae. Loro sono donne capaci di muoversi tra mondo umano e dimensioni invisibili, compreso la comunicazione con i defunti. Come sempre inizio con la spiegazione del nome. Da dove nasce il termine sagae? Deriva dal verbo sagire, che significa: “saper vedere” oppure “percepire con acutezza”. Un chiaro riferimento alla capacità di cogliere ciò che sfugge agli occhi comuni.
Una saga non era una strega nel senso moderno del termine, ma una donna dotata di percezione superiore, conoscitrice del destino, delle erbe e dei rimedi arcani, capace di interpretare i segni e di intervenire nei sottili equilibri del mondo naturale e sovrannaturale. Le fonti letterarie – da Ovidio ad Apuleio, passando per Horazio – dipingono le sagae come donne anziane, spesso dall’aspetto trascurato, capaci di vedere di conoscere il destino di una persona solo guardandola o toccandola.
Ad ogni modo esistevano 5 tipologie di sagae che erano:
- Videntis, coloro che avevano visioni che avevano percezioni extrasensoriali magari toccando una persona, previsioni a breve, tipo nell’arco massimo di una stagione
- Suspicor, volgarmente chiamato indovino capace di predire il futuro tramite accessori di predizione, noi oggi usiamo i tarocchi ad esempio, ma nell’antica roma c’erano altre pratiche con pietre, rami, cenere
- Propheta, cioè il profeta, che si esprimeva solo in base a ciò che gli veniva rivelato dalla divinità che seguiva
- Clairvoyants, le chiaroveggenti che avevano percezioni extrasensoriali diverse da una videntis perché quest’ultima era in grado di vedere chiaramente il destino di qualcuno anche a distanza di anni
- Oraculum, noti come gli oracoli, anche qui si parla di donne che parlano in base ai messaggi inviati da una divinità
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Le Sagae: che paura
Un aspetto particolarmente temuto era la loro abilità nelle maledizioni e negli incantesimi di legatura, le celebri defixiones: sottili lamine di piombo incise con formule destinate a colpire un avversario, un rivale in amore o un nemico politico. Si trattava di pratiche clandestine e illegali, che contribuivano alla percezione ambivalente delle sagae. Dal punto di vista sociale, le sagae vivevano in una posizione ibrida. Erano guaritrici per chi cercava sollievo o guida, come guida spirituale, ma anche figure sospette, temute per le loro capacità di nuocere o influenzare il destino altrui.
In alcuni racconti di Ovidio, ritroviamo degli esempi di sagae rispettate, celebrate e addirittura ospitate nelle case dei patrizi, cioè dei nobili ricchi. Oppure altre tipologie estremamente temute che venivano esiliate, scacciate da un quartiere all’altro, da una città all’altra, ma richieste in determinate occasioni, come ad esempio nei culti misterici. Esse di solito si ritrovavano a vivere accampate in qualche grotta oppure in stalle dismesse ed è qui che ricevevano i loro “clienti”. Questa ambivalenza riflette l’atteggiamento romano verso la magia: utile quando controllabile, pericolosa quando indipendente dall’autorità religiosa e politica.
Le sagae venivano punite? Si, ma come?
Mi sono appassionata nel capire e conoscere questa figura quando mi sono “imbattuta”, mi piace usare questo termine perché tutte le mie ricerche non sono mai dirette, mi ci sono ritrovata o meglio, amo pensare che sono loro che hanno cercato me. Ad ogni modo, quando mi sono imbattuta nelle punizioni riservate a queste “streghe antiche romane”.
La Lex Cornelia de sicariis et veneficis aveva previsto determinate condanne per controllare: omi…ci…di, uso di veleni, esecuzioni su commissioni e poi coloro che usavano la magia malefica. Solo che per quest’ultime c’era qualcosa di diverso. Le condanne variavano in base alla gravità della situazione: c’era la confisca di beni, ma se possedevano terreni e case, in caso di confisca nessuno coltivava o viveva nella sua casa perché si diceva che qui: vivessero spettri, entità al servizio della sagae e quindi si veniva maledetti.
L’esilio avveniva solo se la stessa sagae accettava di allontanarsi. Nessun soldato romano, per quanto coraggioso, avrebbe mai picchiato, spinto o scacciato queste donne perché si temeva un destino infausto. La condanna a mor…te era quella più comune. Dato che, di solito, le altre due condanne non venivano mai applicate, intorno al 40 A.c, le sagae, anche per dei reati minori, come una maledizione verificata durante il processo, esse venivano eliminate.
So cosa vi state chiedendo, perché me lo chiesi anch’io all’epoca: ma come non le toccavano per paura, ma poi le “facevano fuori”? NI. I romani avevano studiato un modo per far eseguire la condanna. Esse venivano rinchiuse, murate vive, con solo un’apertura grande giusto per infilare una mano nel muro. Sarebbe stato poi li popolo a decidere se farle sopravvivere dandogli del cibo di tanto in tanto oppure dimenticarsene provocando l’inedia. Ciò voleva dire che non c’era un vero esecutore.
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Uso anche nel medioevo
Apro parentesi curiosa: tale condanna, essere murati vivi, era applicato, più tardi, anche per le monache o suore che affermavano di udire la voce del Cristo o di parlare con angeli minori. Nonostante le suore non erano condannate per stregoneria, il loro dono era comunque incompreso e se divino o demoniaco, poco importava. Alla fine occorreva eliminare ciò che non si comprendeva, ma in modo da non essere mai la mano diretta della loro “eliminazione”. Chiusa parentesi.
Le “lamiae” nell’antica Roma: demoni notturni e paure ancestrali
Tra le creature più inquietanti dell’immaginario magico antico romano ci sono poi le lamiae. Anzi esse occupano un posto di rilievo come demoni femminili della notte, alla predazione e all’infanzia minacciata. Le origini del mito risalgono alla Grecia arcaica. La Lamia, secondo alcune versioni, era inizialmente una donna bellissima, amata da Zeus. Per vendetta, Era la privò dei figli condannandolo a divorarli, trasformandola in una creatura mostruosa. A Roma invece le lamiae divennero una categoria di spiriti maligni associati alla notte, ai cimiteri e agli incubi.
Le descrizioni del loro aspetto variano. Si presentano come metà donna e metà creatura mostruosa: occhi sporgenti, artigli affilati, bocche capaci di succhiare il sangue, e talvolta un corpo serpentino. Entità ambivalente: seducenti e repellenti allo stesso tempo, simbolo di una femminilità pericolosa e distruttiva. La perdita improvvisa di un bambino, la morte in culla o malattie infantili letali, erano causate da questi esseri. Non sorprende che, i racconti legati alle lamie, avessero una funzione morale o pedagogica. Usate per spaventare i bambini e indurli a comportarsi bene, per dichiarare subito un malessere, non uscire di notte oppure non dare ascolto agli estranei.
Tuttavia, da entità astratta o comunque semidivina maledetta, esse furono poi associate ad alcune striges, diventando quindi umane e materiali. In grado di parlare con gli animali, sedurre gli uomini per succhiare la loro forza vitale oppure rapire dei piccini.
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La lamia: io l’ho vista
Un caso interessante, scritto da un Epitetto, ci dice: è stata una lamia che ha preso un bambino e una bambina presso Velabro (velabro era un quartiere vicino al foro romano). La bambina è stata ritrovata ed ha rivelato che la misteriosa donna, aveva “eliminato” (uso questo termine altrimenti youtube si allerta) e cucinato il fratellino. Lei era riuscita a fuggire dopo che aveva udito la donna, mentre parlava con un’altra figura che era solo un’ombra, che diceva: gli taglierò la lingua così non parlerà e poi lo vendiamo a qualche equipaggio di Ostia. Nello scritto ho trovato orribile alcune parole dello stesso Epitetto, che scriveva: i bambini che non credono alle lamie e come se le invitano a prenderli. Come a dire che era stata colpa loro se non erano tornati a casa o erano usciti di notte e rapiti.
Tra l’altro non era raro che i bambini sparissero, specialmente nella roma moderna, cioè quella dopo il 200 A.c a seguire. Purtroppo in questo periodo Roma rappresentava condizioni di vita migliore, c’era più lavoro, era florido il mercato di “mercificazione”, di furti con scarsa vigilanza. Ciò attirava soggetti poverissimi e non raccomandabili oltre a soggetti culturalmente ed etnicamente diversi. Un po’ come oggi. I bambini poi erano considerati “merce preziosa”, facile da vendere specialmente a equipaggi di marinai che facevano rotte verso altri luoghi dell’impero da usare durante il viaggio, con orridi propositi, oltre che a rivenderli.
Il mito della lamia quindi poteva rappresentava realmente un utile metodo di istruzione per i più piccini in modo che non fossero mai lontani dai genitori.
Le pratiche magiche delle streghe romane: tra rituali, ombre e desideri
Le streghe occupano uno spazio ricco di sfumature nell’antica Roma, sospeso tra realtà quotidiana e fantasia letteraria. Le loro pratiche – riportate da poeti, storici e moralisti – delineano un repertorio complesso di rituali, erbe e contatti con il mondo dei morti. Le fonti antiche descrivono ricette magiche composte da ingredienti naturali e simbolici. Le streghe conoscevano un’ampia varietà di erbe – dalla mandragora all’elleboro – ritenute capaci di provocare visioni, guarire, avvelenare o indurre stati alterati. Ai preparati vegetali si aggiungevano talismani di vario genere: amuleti, pietre, nodi, oggetti raccolti nei crocicchi o presso luoghi ritenuti sacri. Una parte significativa delle pratiche avveniva durante i riti di sepolcro, momenti liminali nei quali, secondo le credenze, la barriera tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava.
Il legame con il mondo dei morti costituiva uno degli aspetti più inquietanti attribuiti alle streghe romane. Autori come Lucano o Ovidio narrano rituali che prevedevano l’uso di ossi, teschi e resti funerari, ricavati da tombe violate. I cimiteri erano considerati luoghi privilegiati per la magia, in quanto potenziati dalla presenza dei manes, le anime dei defunti. In questo contesto si collocavano anche pratiche di necromanzia, in cui le streghe avrebbero evocato spiriti per ottenere informazioni, presagi o poteri.
Roma: le streghe “amatoria”
Nel medioevo la strega era una figura oscura, ma nell’antica roma accanto alle pratiche oscure, le striges oppure delle sagae, avevano un ruolo fondamentale nei riti erotici, noti come amatoria. Una magia che trattava di filtri, pozioni o incantesimi destinati a suscitare passione, riconquistare un amante o controllarne i sentimenti. Rituali per il desiderio di influenzare legami affettivi, propiziare i matrimoni e relazioni. Oltre che a migliorare le qualità “intime” degli uomini. Anzi c’era proprio una classificazione in merito: le donne erano propense a richiedere magie per aumentare il fascino, seduzione e a interessare gli uomini. Mentre gli uomini richiedevano pratiche e filtri per aumentare la loro prestazione.
Il forte aumento delle richieste e soprattutto la realizzazione di queste pratiche, confermate dai processi o dalle indagini, richiesero un supporto legale. Nel senso che lo stato fece rientrare tali pratiche, intorno all’anno 200 D.c nelle accuse di veneficium, punite dalla legge romana. Io penso che da questo momento siano state messe le radici per la caccia alle streghe nel medioevo, ma è un mio pensiero personale.
La stregoneria nella vita quotidiana dell’antica Roma: tra credenze diffuse e controlli legali
La stregoneria, nell’antica Roma, non era un fenomeno marginale né relegato alle periferie della società: al contrario, permeava la vita quotidiana di tutte le classi sociali, dalle plebi urbane fino all’aristocrazia più colta. Per questo motivo, la figura della strega – reale o immaginata – era familiare a ogni Romano. Tra le classi popolari, la magia circolava soprattutto in forma orale e pratica: amuleti, filtri d’amore, rimedi erboristici e piccoli incantesimi erano parte integrante della vita domestica. Le streghe venivano consultate per risolvere problemi sentimentali, sanare malattie o contrastare malocchi.
Nell’aristocrazia, la situazione era diversa, e si alternava in base alla ricchezza. Alcuni mantenevano segreta l’attività affidata ad una striges o sagae, altri invece erano plateali e addirittura avevano tali figure che vivevano nella propria abitazione. Molti membri dell’élite romana si rivolgevano in segreto a indovine e maghe. Il desiderio di conoscere il futuro, proteggersi da intrighi politici o ottenere vantaggi amorosi rendeva la magia un’attrazione irresistibile. Non mancano testimonianze di senatori, generali e persino imperatori sospettati di aver consultato pratiche magiche, nonostante la condanna morale che spesso esse comportavano.
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La legge contro la magia: non valida per tutti
A livello legale, la magia era tollerata solo entro certi limiti. La repressione riguardava soprattutto le pratiche ritenute dannose o destabilizzanti. La Lex Cornelia de sicariis et veneficiis, emanata in età repubblicana e rimasta in vigore per secoli, puniva severamente l’uso di veleni, maledizioni, sortilegi per nuocere e ogni attività considerata una minaccia per la sicurezza pubblica. Le condanne potevano includere la confisca dei beni, l’esilio o persino la morte. Ciò non impedì il diffondersi della magia, ma contribuì a renderla un’attività clandestina, alimentando paura e sospetto.
Incredibilmente però tale legge si faceva rispettare principalmente per il popolo. Per gli aristocratici o per i rappresentanti ricchi, eletti dal popolo, quindi plebei divenuti benestanti, non si punivano direttamente loro, ma al limite la striges o sagae a cui essi si erano rivolti.
Non tutte le pratiche magiche, tuttavia, erano frutto di immaginazione. Nell’antica Roma esistevano maghe reali e professioniste, donne che esercitavano attività ai margini tra medicina popolare e ritualità. Guaritrici, abili nell’uso delle erbe; indovine, esperte nell’interpretare segni e presagi; e levatrici, spesso accusate di conoscere rimedi per facilitare il parto o interromperlo, erano figure comuni nelle comunità urbane e rurali. Proprio il loro sapere le rendeva ambigue: rispettate per le loro competenze, temute per il potere che si credeva possedessero.
L’eredità culturale delle streghe romane
La magia e le figure stregonesche rispettate dell’antica Roma ha lasciato una traccia profonda nella cultura europea, influenzando negativamente la tradizione medievale, cristiana e persino quella contemporanea. Le figure delle sagae e delle lamiae, di guaritrici e delle streghe che sono coloro che seguono l’antica religione pagana, così diverse tra loro, sono associate a figure oscure e maledette. Nel Medioevo cristiano, queste immagini si fusero. Le lamiae, temute per la loro natura mostruosa, si trasformarono nelle streghe notturne europee, capaci di volare, succhiare la vita dei bambini o assumere forme animali. Le sagae, invece, vennero reinterpretate come donne che stringevano patti con demoni, mescolando le antiche pratiche rituali con le nuove paure teologiche.
Molti aspetti di questo patrimonio sopravvivono nel folklore italiano, dove emergono figure come le janare del Sannio, streghe dei vicoli e delle campagne; le striae, eredi dirette del termine latino strix; e le masche piemontesi, donne sospettate di poteri magici o trasformazioni notturne. Tra l’altro ho creato dei video che parlano delle janare e delle masche, lascio entrambi i link al termine di questo video.
Tali figure mantengono dei tratti umani uniti a quelli demoniaci, proprio come le loro antenate romane.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe
