Grotta delle streghe, dov’è e la sua vera storia
Questa è una storia vera, uno dei più grandi processi di streghe e stregoneria, e di una grotta dove si eseguivano magie proibite, sabba segreti e in cui il passato ancora sussurra. Entriamo in questa grotta, iniziamo.
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Le Grotte di Zugarramurdi, sono conosciute come la “Cueva de las Brujas” o “Sorgin‑leze”, cioè: la grotta delle streghe. Un sito oggi storico, prova della stregoneria dilagante in tutta Europa nel 1600. Questo luogo naturale si trova nei Pirenei navarri, a circa 400 m dal villaggio di Zugarramurdi, vicino alla Francia.
La vicenda che ha reso famosa questa grotta ebbe inizio nel 1608 a causa della denuncia di una strega che si professo strega, tale María de (himildeghi) Ximildegui. La donna ammise di aver partecipato ai sabba e non era sola durante queste celebrazioni. La sua confessione iniziale, dovuta a diversi motivi, diede luogo a una caccia terribile in cui, inizialmente, si scatenò un’isteria di massa, ma dove poi intervenne la santa inquisizione.
Le accuse formulavano presunti atti di satanismo, messe nere, vampirismo, necrofagia e malefici.
Chi era: María de(himildeghi) Ximildegui e la sua amante Catalina
Iniziamo con la presentazione della strega “chiacchierona”, cioè colei che denunciò il tutto.
María de(himildeghi) Ximildegui era una giovane originaria di Zugarramurdi, un piccolo villaggio nei Pirenei navarresi. Nata intorno al 1588 da genitori francesi, si trasferì nel 1604 con suo padre a Ciboure, una cittadina nel sud-ovest della Francia. Lì lavorò come domestica e conobbe Catalina, di cui non conosciamo il cognome, un’altra giovane donna, di pari età, con cui instaurò una relazione intima e duratura, ma segreta. Ci troviamo in un’epoca in cui l’amore tra persone dello stesso sesso era un chiaro indizio di possessione del maligno.
Tuttavia Catalina non fu solo la compagna di vita di María, ma anche la sua guida nella stregoneria. Fu proprio Catalina a introdurre María ai rituali magici, ai sabba e alle pratiche eretiche. Le due donne partecipavano a riunioni notturne, facevano uso di unguenti e affermavano di prendere parte a voli notturni. Anzi secondo la testimonianza di Maria, che noi prendiamo con le molle, Catalina la obbligò a conoscere altre streghe in modo da ampliare la sua conoscenza delle arti magiche.
A quel che sappiamo, Catalina non aveva una famiglia che si occupava di lei. La sua infanzia era trascorsa lavorando nei campi e in diverse case, dove venne a contatto diretto con donne guaritrici ed erboriste, ma anche con congreghe di streghe.
Nel 1600, dato il terrore che serpeggiava in tutta Europa, era difficile entrare a far parte di una congrega di streghe almeno che non eri cresciuta tra di loro o non venivi presentata. Maria infatti ammise che proprio Catalina la portò in feste oscure, in sabba dove c’erano tante altre donne e uomini.
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Il ritorno a Zugarramurdi
Nei verbali dei processi che seguirono non ho trovato la motivazione del perché María de(himildeghi) Ximildegui tornò nella sua città natale. Per fortuna ci sono però notizie non ufficiali, non verbalizzate, su quello che accadde. Alla fine quindi possiamo fare un’ipotesi.
Le due donne, amanti, vennero sorprese ad amoreggiare dai loro padroni di casa. Costoro avvisarono il padre di Maria, povero contadino, che decise quindi di allontanare la figlia rimandandola dai suoi parenti a Zugarramurdi. Quello che non sapeva però e che prima di partire Catalina le regalò delle erbe, un sigillo e un talismano dicendole di rivolgersi ad una donna, anche di questa donna non sappiamo il nome poiché Maria disse di non ricordarlo, almeno non lo ricordò durante le torture. Questa donna del mistero viveva in un paese vicino a Zugarramurdi.
Quando Maria tornò nel suo paese natale, dopo qualche mese in cui si comportò al meglio nella casa dei suoi parenti che la ospitarono, un giorno, con la scusa di una commissione, si presentò alla casa della donna dicendo solo: mi manda Catalina. Mostrò poi il sigillo, ma venne mandata via.
María e l’attività di stregoneria
Dopo il trasferimento nella sua città natale, María de(himildeghi) Ximildegui , si immerse completamente nelle pratiche stregonesche. Non dimenticò gli insegnamenti di Maria ed iniziò a guadagnare qualche soldino costruendo talismani e preparando unguenti. Un’attività che svolse sotto il naso e in casa degli zii che la ospitavano, ma senza che quest’ultimi si accorgessero di nulla.
Diversi mesi dopo il suo arrivo, un giorno Maria venne fermata da una bambina che gli consegno un sigillo, lo stesso che gli aveva dato Catalina. Unitamente gli venne consegnato una tavoletta di cera con strani simboli.
Qui apro una parentesi indispensabile. Sappiate che le streghe non scrivevano parole. Il 1600 era un periodo dove l’analfabetismo era altissimo. Però esisteva ed esiste ancora oggi un linguaggio universale usato dalle streghe, composto di simboli, disegni, sigilli e parole criptate che diventano messaggi chiari per chi sa leggerli. Per scambiare messaggi tra di loro, le streghe usavano poi delle tavolette di cera che
Venivano sciolte, una volta decodificato il testo. Ciò consentiva di scambiarsi segreti, incantesimi, appuntamenti, date per festeggiare i sabba in modo sicuro, distruggendo una prova che se ritrovata poteva mandarle al rogo. Le tavolette di cera venivano quindi sciolte e il messaggio scritto era perso per sempre. Chiuso parentesi.
Maria, ricevendo questa tavoletta, che noi sospettiamo essere stata inviata dalla donna misteriosa che conosceva Catalina, ex amante di Maria, seppe dove si sarebbe tenuto il sabba iniziatico, cioè quello per entrare nella congrega di Zugarramurdi. Lei si presentò indossando il talismano e quindi divenne una delle partecipanti a questi sabba tenuti nelle grotte lì vicine.
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La grotta delle streghe
A questo punto si troviamo tra nel 1607. Maria, durante la sua confessione, affermò di aver partecipato regolarmente ai sabba sia in territorio francese che a Zugarramurdi. Questi raduni notturni si svolgevano in aree appartate, spesso boschi o spazi aperti, dove le streghe si riunivano per adorare il diavolo, compiere riti di iniziazione e banchetti sacrileghi.
Durante queste cerimonie, secondo quanto raccontato da María stessa, si praticavano incantesimi, si invocavano entità maligne e si celebravano rituali con animali sacrificati. Le confessioni parlano anche di voli notturni, realizzati grazie a unguenti a base di erbe psicoattive, e di incontri carnali con figure demoniache. María raccontò che Catalina l’aveva iniziata a queste pratiche, rendendola parte attiva della comunità stregonesca.
Al suo ritorno a Zugarramurdi, María continuò queste attività, sostenendo che anche nel villaggio si svolgevano rituali simili in luoghi nascosti, in particolare in una grande grotta naturale ai margini del paese. Lì si sarebbero svolti sabba locali, con la partecipazione di donne, uomini e persino bambini.
Il pentimento della strega traditrice
Nel 1608 Maria forse tormentata dal senso di colpa e dalla paura, si confessò a un sacerdote. Costui le consigliò donna di denunciare il tutto prima che fosse troppo tardi.
Apro parentesi interessante perché ho letto i verbali e ci sono delle affermazioni che mi fanno pensare che Maria si confessò al sacerdote non perché si era pentita della sua attività da strega, ma per avere un aiuto perché lei aveva tradito la congrega. Maria decise di insegnare alcune pratiche stregonesche a delle sue cugine, nulla di male, ma, in modo superficiale, si vantò di aver appreso tali pratiche durante un sabba rivelando i nomi di chi gliel’aveva insegnato. Le cugine, essendo ragazze giovani, spifferarono tutto ad amiche e a parenti e questa informazione volò rapidamente alle orecchie di altre donne facenti parte della congrega. Maria, dopo che una di esse, incontrata in paese durante delle commissioni, le disse parole velate che sembravano una minaccia, si rese conto che la congrega sapeva che lei aveva parlato. Ciò era un tradimento e la punizione sarebbe stata la morte.
Maria, non sapendo a chi rivolgersi perché nessun’altra strega l’avrebbe aiutata, dato che ormai aveva perso la loro fiducia. Tentò di mettersi in contatto con Catalina che sparì dalla sua vita e ciò era un’ennesima prova che anche lei sapeva del suo tradimento. Alla fine quindi si rivolse ad un sacerdote e denuncia tutto. Chiusa parentesi!
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Sono pentita
Denunciate le attività eretiche a cui aveva partecipato, Maria rivelà anche il luogo dei sabba, cioè la grotta di Zugarramurdi. La confessione fu dettagliata e non richiese torture, inizialmente, anzi la sua confessione fu resa pubblica alla Comunità, incredula e spaventata.
Non è chiaro quanto delle sue dichiarazioni fosse frutto di reali esperienze o quanto fosse influenzato dalla pressione religiosa e sociale. Tuttavia, le sue confessioni dettagliate furono considerate credibili dagli inquisitori e servirono da base per avviare le indagini ufficiali. Le autorità religiose videro in María non solo una testimone, ma anche una pentita che poteva rivelare i nomi degli altri partecipanti, alimentando così la spirale inquisitoriale che travolse Zugarramurdi.
Questa decisione segnò l’inizio di una delle più vaste ondate inquisitoriali contro la stregoneria nella Spagna dell’epoca. Catalina, rimasta in Francia,non fu coinvolta direttamente nei processi anche perché lei riuscì a non farsi più trovare dopo che venne cercata e non trovata, in Francia. Però la sua figura rimane centrale nella storia come l’iniziatrice della vicenda che avrebbe portato alla rovina molte persone.
In poche settimane, almeno 10 persone, di età compresa tra 20 e 80 anni, confessarono pubblicamente in chiesa e chiesero perdono
María de (himildeghi) Ximildegui: chi accusò?
Le accuse furono diverse. I nomi tanti. La più nota fu María de (hureteglia) Jureteguia, una donna del posto che, secondo (himildeghi) Ximildegui, partecipava regolarmente ai sabba locali nella grotta di Zugarramurdi.
La forza delle accuse non stava solo nella loro gravità, ma anche nel tono di sincerità e precisione. María descrisse abiti, frasi pronunciate, azioni rituali. Alcuni dei nomi indicati erano persone note nella comunità, comprese donne anziane, giovani madri, contadini e anche bambini. In pochi mesi, almeno dieci individui confessarono pubblicamente durante le messe, di essere streghe o seguaci di stregoneria, chiedendo perdono e riconoscendo la propria partecipazione alle pratiche eretiche.
Tra gli accusati, la stessa Maria de (hureteglia) Jureteguia confessò di essere stata introdotta alla stregoneria da una zia. Altri, come Graciana de Barrenechea, negarono sempre ogni coinvolgimento. Le denunce di María portarono l’Inquisizione di Logroño ad avviare un’indagine formale.
Nel giro di pochi mesi, furono arrestate 31 persone. Le accuse scatenarono un effetto domino: chi veniva nominato, per evitare la tortura o la condanna al rogo, spesso accusava altri a sua volta. Questo fenomeno di autoalimentazione della paura e delle confessioni divenne uno degli aspetti più drammatici dei processi di Zugarramurdi.
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La grotta delle streghe, il cuore del male
La grotta di Zugarramurdi, ampia cavità naturale scavata dall’acqua nel calcare, situata ai margini del villaggio, fu indicata da María de (himildeghi ) Ximildegui come luogo dei raduni stregoneschi. Secondo le sue dichiarazioni e quelle di altri accusati, in quella grotta si tenevano regolarmente gli akelarre (sabba), durante i quali si ballava, si banchettava e si compivano riti satanici.
Il sito, per la sua conformazione isolata ma accessibile, divenne agli occhi degli inquisitori il “cuore” fisico del male. María raccontò che durante le notti di luna nuova, decine di persone si radunavano lì per adorare il maligno, rappresentato sotto forma di caprone nero. I bambini venivano iniziati con riti particolari, e si consumavano alimenti considerati profani come carne non consacrata e vino mischiato a erbe.
Le testimonianze fecero della grotta un luogo simbolico del male, e fu citata più volte negli atti del processo. Le autorità religiose considerarono la sua esistenza fisica una “prova” della veridicità delle accuse. Vennero organizzate ispezioni sul posto e la grotta fu segnalata nelle mappe inquisitoriali.
Con il tempo, la grotta divenne il fulcro della memoria storica dei fatti. Ancora oggi è conosciuta come la “Grotta delle Streghe” e attira migliaia di visitatori ogni anno, curiosi di esplorare il luogo dove, secondo le cronache, si sarebbe consumata una delle più grandi isterie collettive legate alla caccia alle streghe in Spagna.
Cosa successe nel processo?
Il processo alle streghe di Zugarramurdi fu uno dei più estesi e documentati nella storia dell’Inquisizione spagnola. Dopo le confessioni iniziali di María de (himildeghi ) Ximildegui e le sue accuse, l’Inquisizione di Logroño avviò un’indagine formale nel 1609. Furono arrestati 31 sospettati di stregoneria e trasportati nel carcere inquisitoriale di Logroño.
Durante il processo, molti degli accusati confessarono sotto tortura. Le accuse comprendevano: partecipazione ai sabba, invocazioni demoniache, infanticidio rituale, voli notturni e profanazione di ostie consacrate. Le confessioni spesso si assomigliavano, suggerendo un effetto domino, dove la paura portava le persone a inventare storie per salvarsi.
Nel 1610, dopo mesi di interrogatori, si celebrò l’autodafé (cioè l’atto di fede) nei giorni 7 e 8 novembre. Una cerimonia pubblica in cui vennero letti i verdetti e applicate le pene. Dodici persone furono condannate a morte, sei delle quali morirono sul rogo, mentre altre sei, decedute in carcere, vennero simbolicamente bruciate in effigie. Gli altri imputati, avendo confessato e mostrato pentimento, furono perdonati e condannati a pene minori, come la prigione o il pellegrinaggio forzato.
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Chi fu condannato al rogo in questi processi?
Durante l’autodafé, cioè l’atto di fede, del novembre 1610, dodici imputati furono condannati a morte. Sei di loro furono bruciati vivi sul rogo nella piazza di Logroño, mentre altri sei, morti in carcere durante le fasi preliminari del processo, vennero simbolicamente condannati: le loro effigi e le ossa furono arse pubblicamente.
Tra le sei persone effettivamente bruciate vive troviamo:
- Graciana de Barrenechea
- Maria Baztan de Borda
- Maria de Arburu
- Joanes de Goiburu
- Maria de Echacharreta
- Maria de Joangorena
Questi individui vennero riconosciuti come colpevoli irriducibili: non confessarono, non si pentirono, e non ritrattarono le loro confessioni, venendo così considerati “relapsi” (cioè recidivi), categoria punita con la morte secondo la dottrina inquisitoriale.
María de Ximildegui non fu tra i condannati: confessò e si pentì, fornendo nomi e dettagli utili all’Inquisizione. Per questo motivo fu risparmiata e rilasciata.
L’autodafé, l’atto di fede, fu un evento spettacolare e solenne, al quale parteciparono migliaia di persone. Rimane uno degli esempi più significativi della violenza istituzionalizzata durante la caccia alle streghe in Spagna.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe