Notte del velo si assottiglia: SAMHAIN, il capodanno celtico
Le giornate diventano più corte e le notti più lunghe, lo avete notato anche voi e a segnare questo momento c’è la notte di samhain, il capodanno celtico che noi chiamiamo halloween.
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Samhain, l’antico capodanno celtico, l’ultimo e il primo sabba dell’anno stregonesco. Il momento in cui l’anno muore per rinascere a yule. La fase dormiente o oscuro. Il passaggio sospeso tra ciò che è stato e ciò che ancora non è. Nelle tradizioni dei druidi e dei popoli del Nord, cioè i celti, questa notte non apparteneva né al vecchio né al nuovo anno: era un tempo fuori dal tempo, una soglia.
Qui urge la spiegazione di soglia perché altrimenti si pensa alla porta di casa, apro parentesi bussando. La soglia è una parola che nel passato, era sacra. Utilizzo quindi la spiegazione antica: soglia era il passaggio tra due spazi o stati dell’essere a livello: fisico, spirituale e simbolico. Per esempio, nei rituali per il passaggio all’età adulta, i bambini, durante la cerimonia dovevano fare un salto a indicare il passaggio della soglia da età infantile a età adulta. Pensate che ancora nel 1970 gli sposi, nei territori più contadini, prima di entrare in chiesa si fermavano all’entrata. I testimoni gli chiedevano: siete in due a fare questo cammino?
Se entrambi dicevano: si. Gli sposi dovevano fare insieme un salto per entrare in chiesa. Se volete una testimonianza di questa tradizione ve ne do una. In un film del 1963 (potete trovarlo sia su youtube che su rayplay) che si chiama il Demonio, regia Brunello Rondi. La trama è drammatica, tratta da una storia vera, ci sono diverse tradizioni ben evidenti nel film. Ad ogni modo, c’è un passaggio in cui ci sono 2 sposi che appunto eseguono questo rituale. Ciò dimostra che il termine soglia era nato come termine sacro. Nelle diverse epoche poi si è arrivato a indicare l’ingresso della propria abitazione, perché ogni abitazione è un luogo sacro per chi ci abita. Chiusa parentesi.
La soglia per samhain è un passaggio spirituale, astrale, non lo vediamo, ma lo percepiamo.
Cos’è il velo tra i mondi?
Si credeva che durante Samhain il velo tra i mondi si assottigliasse, rendendo possibile il contatto con l’Oltretomba. Le anime vagano sulla terra, accolte non con timore ma con rispetto. Nei villaggi si lasciavano offerte di cibo e luce — lanterne, torce o candele — per guidare gli spiriti verso la propria casa.
Ma cos’è il velo tra i mondi? Nel tema occulto il velo è la barriera che separa il piano materiale da quello spirituale o astrale. Tuttavia, questa barriera, non è un muro, ma un vero e proprio velo poiché noi “vivi” riusciamo a percepire le energie che appartengono a spiriti, entità o cosmiche. Ecco come mai si chiama velo. Richiamando le tradizioni e parole antiche, il velo non è fisico, ma energetico e vibrazionale. Quando è denso, come capita durante l’anno, è difficile da percepire. Mentre quando si assottiglia, nei giorni dei sabba, ecco che è facile avere: visioni, sogni lucidi, comunicazioni medianiche, viaggi o esperienze extracorporee.
Esistono dei giorni in cui, naturalmente, questo velo si assottiglia per ricordarci che tutti possiamo percepire e quindi sviluppare la propria magia. Questi giorni sono appunto i sabba. Però esistono pratiche magiche, ritualistiche o cerimoniali che permettono di attraversare il velo, ma occorre esperienza per farlo.
Ad ogni modo, proprio a samhain, dalla notte del 30 ottobre fino al 1° novembre, si ha un velo molto sottile e le anime come altre creature energeticamente potenti, si palesano in modi diversi.
Il confine sacro
Quel “velo sottile” non è solo una barriera tra vivi e morti, ma un confine energetico, un punto di equilibrio tra due dimensioni che per una notte si sfiorano.
Nel linguaggio esoterico, il velo rappresenta la soglia tra il visibile e l’invisibile, tra coscienza e mistero. È la stessa linea che la strega, il mago o la sacerdotessa attraversano durante i riti e le cerimonie, per percepire ciò che normalmente è nascosto. Ogni limine, cioè ogni passaggio, è carico di potere: all’alba e al tramonto, alle porte di un bosco, ai crocicchi delle strade, nei momenti in cui un ciclo finisce e un altro inizia. Samhain incarna questa liminalità, dove il mondo materiale e quello spirituale si toccano, e l’energia scorre libera.
Gli antichi conoscevano il potere della soglia. Nei loro rituali, il confine non era temuto ma attraversato con consapevolezza. Si varcava simbolicamente il limite tra i mondi per ricevere visioni, chiedere consiglio agli antenati o ringraziare gli spiriti della terra. Le sacerdotesse e i druidi agivano come guardiani del passaggio, interpreti del mistero.
Oggi, Samhain sopravvive sotto le spoglie di Halloween, ma il suo significato più profondo resta intatto: è la notte in cui il velo si fa trasparente, invitandoci a guardare oltre la superficie delle cose. È un momento di riflessione, di ascolto e di potere silenzioso, in cui comprendiamo che ogni fine è solo l’inizio di un nuovo ciclo — e che, forse, i due mondi non sono mai stati davvero separati.
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Origini spirituali del concetto di “velo”
Il concetto di un velo che separa il mondo visibile da quello invisibile affonda le sue radici nelle più antiche culture indoeuropee. In esse, la realtà non era divisa in modo netto: la vita e la morte, la materia e lo spirito, erano parti dello stesso tessuto. Quel velo rappresentava la soglia fra due stati dell’essere, una membrana sottile che solo in momenti sacri poteva essere attraversata.
Nelle credenze celtiche, questa soglia assumeva forma concreta durante la notte di Samhain, quando la terra entrava nel suo periodo di silenzio. Si diceva che i confini fra i mondi si aprissero, permettendo agli spiriti di emergere dall’Altromondo — luoghi chiamati Annwn, Tir na nÓg o Sidhe. Non erano inferni o paradisi, ma dimensioni parallele, regni di eterna giovinezza e conoscenza. Preciso che per la religione cristiana, tale luogo, è paragonabile al paradiso, ma con la possibilità di tornare tra i vivi. Gli eroi e i mistici che vi giungevano non morivano: attraversavano semplicemente un’altra soglia dell’esistenza.
Durante questa notte sospesa, l’ordine naturale veniva momentaneamente sospeso. Era il tempo fuori dal tempo, quando i cicli si arrestavano e la realtà mostrava la sua duplice natura. I druidi e le sacerdotesse consideravano Samhain un varco sacro, un momento in cui la percezione umana poteva amplificarsi, rivelando le trame invisibili che uniscono il mondo terreno a quello spirituale. Trovando quindi una verità che doveva essere rivelata, almeno in parte, agli uomini. Ciò ha consentito di sviluppare, nell’essere umano, il senso di spiritualità ed elevazione spirituale.
Però….
Però tale concetto di passaggio non apparteneva solo ai Celti. Nelle regioni mediterranee, i Misteri Eleusini celebravano la discesa e il ritorno di Persefone, simbolo della morte stagionale e della rinascita ne parlo in uno dei miei ultimi video che parlano di Demetra, lascio il link al termine di questo video.
Nel rito “eleusino”, i partecipanti attraversavano metaforicamente l’oscurità per rinascere alla luce, proprio come il sole dopo il solstizio. Anche i Romani onoravano i morti nei Lemuria, aprendo un dialogo rituale con gli spiriti familiari o gli antenati, in modo da placarli e riconoscerne la presenza.
Sotto la lente esoterica, tutte queste tradizioni condividono lo stesso archetipo: il rito di passaggio. Samhain, come Eleusi e Lemuria, richiama il ciclo eterno di dissoluzione e rinascita, la discesa nel buio per ritrovare la conoscenza interiore. Il velo, in questo senso, non separa soltanto due mondi: li connette. È un simbolo di trasformazione, un invito a oltrepassare i limiti del visibile per scoprire che, dietro l’ombra, la vita continua a pulsare — silenziosa, eterna, in attesa di essere ricordata.
L’Oltretomba e il regno degli spiriti
L’Oltretomba, l’aldilà, l’altrove o ancora il mondo sospeso. Non è un luogo di pena, ma un regno di equilibrio e armonia. I morti non sono temuti, bensì onorati come parte indissolubile del ciclo naturale. Le leggende narrano di un mondo al di là del velo, dove il tempo non scorre e la sofferenza non esiste. I celti lo chiamano l’Annwn, tradotto significa: la “Terra sotto la Collina”. Descritto come un paesaggio di luce crepuscolare perenne, con foreste eterne e acque immobili, dimora degli spiriti, antenati, delle antiche divinità e di tutte le energie cosmiche. Non inferno, ma altro mondo, un riflesso speculare del nostro.
Gli spiriti degli antenati occupavano un ruolo sacro in questa cosmologia. Essi erano i custodi del sapere, guide silenziose che osservavano i vivi e li consigliavano nei momenti di passaggio. Per i druidi e le sacerdotesse, stabilire un contatto con queste presenze significava attingere a una memoria più antica dell’uomo stesso — la memoria ancestrale, fonte di saggezza e potere. Si credeva che ogni individuo conservasse dentro di sé un frammento di quella conoscenza, accessibile solo attraverso la quiete rituale o il sogno, ma percepibile nei giorni dei sabba o giorni liminali, di confine.
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Comunicazione con i de…funti
La comunicazione con i defu..nti, non era vista come la vediamo oggi o come in molti credono. Non si evocavano o invocavano per il loro ritorno poiché queste anime debbono eseguire un lungo percorso di rigenerazione e non debbono essere disturbate.
Infatti, i medium o i veggenti, ma in generale chi pratica la magia “oscura” sono a conoscenza che evocare o richiamare un estinto vuol dire interrompere il loro percorso. Facendolo è possibile che essi si vendichino oppure semplicemente attingono alle nostre energie, prosciugandoci, perchè ne hanno bisogno loro.
Spiego brevemente. Il percorso degli spiriti, di armonizzarsi e rigenerarsi, è complesso. Richiede tanta energia che si accumula con il passare del tempo. Se noi invece li richiamiamo, tale energia, per comunicare con noi, si esaurisce. Lo spirito quindi per tornare in armonia ha bisogno di attingere a qualcosa e dunque ecco che si lega a noi. Il problema è che noi venivamo prosciugati e ciò comporta: malattie, incidenti o altri stati di sofferenza e unitamente, lo spirito, potrebbe non voler andare più via perché trova nutrimento.
Essi possono comunicare in modo più consono alla loro forma, senza invocazioni, nei giorni liminali, come samhain. Però questi messaggi avvengono in modo sottile e dobbiamo essere noi a comprenderli. Io consiglio comunque di non eseguire tali pratiche nei giorni liminali perché ci sono molte testimonianze di soggetti che hanno avuto eventi paranormali fuori controllo.
Anticamente, nelle notti di Samhain, i villaggi spegnevano i fuochi domestici e accendevano nuove fiamme al centro della comunità per segnare un ponte di connessione o di comunicazione, ma che fosse del tutto naturale. Essi non evocavano, ma ascoltavano.
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Le pratiche di contatto
Nelle notti in cui il confine tra i mondi si assottiglia, gli antichi cercavano segni e risposte provenienti dall’invisibile. La divinazione tipica richiedeva un linguaggio simbolico capace di interpretare le forze che scorrevano tra la vita e l’aldilà. Attraverso oggetti carichi di potere — specchi, candele bianche o nere, dove si osservavano le loro fiamme,, ciotole d’acqua, braci, sogni — si aprivano spiragli su realtà nascoste.
Lo specchio o specchio nero è una porta: una superficie che riflette l’ombra, non la luce. Chi vi fissava a lungo poteva percepire immagini, voci o presenze. L’acqua in una coppa svolgeva la stessa funzione, ma attraverso la fluidità del simbolo: era la mente inconscia che si muoveva, mostrando visioni sotto forma di onde o riflessi. Il fuoco, invece, agiva come tramite dello spirito. Le fiamme danzanti nei riti di Samhain venivano osservate per cogliere presagi; la loro forma o direzione indicava messaggi provenienti dal mondo sottile. Anche le ossa — resti di animali o talismani ricavati dal loro scheletro — venivano lanciate o disposte per leggere la volontà degli antenati.
In questi rituali, le streghe e le sacerdotesse erano le interpreti del confine. Addestrate all’ascolto e alla visione interiore, fungevano da ponte tra il mondo materiale e quello invisibile. Come mediatrices, possedevano la capacità di tradurre il linguaggio simbolico dei segni in comprensione. La loro presenza durante le cerimonie garantiva equilibrio, evitando che le energie evocate oltrepassassero la soglia senza controllo.
Dal punto di vista occulto, queste figure sono l’intermediaria — colei o colui che vive “tra i mondi”. Sciamani, sibille o streghe. Sono custodi della soglia, attraversano l’ombra senza esserne consumata.
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Le sacerdotesse del velo: custodi della soglia
Nell’antica tradizione celtica, esistevano donne che non appartenevano pienamente al mondo degli uomini. Le chiamavano ban-druidh, le druidesse, e ban-fáith, le profetesse. Vivevano ai margini dei villaggi, nei boschi o sulle scogliere, in luoghi dove il vento sembrava portare voci dimenticate. Erano considerate guardiane del velo, capaci di percepire ciò che sfuggiva alla vista comune. Il loro sapere univa erbe, stelle, e la conoscenza delle forze invisibili.
Durante i riti di passaggio o nei momenti in cui la comunità cercava risposte, queste donne indossavano un manto rituale, spesso bianco o scuro come la notte. Quel velo non era solo ornamento: rappresentava la soglia tra i mondi, la condizione sospesa di chi entra in contatto con il sacro. Coprirsi significava distaccarsi dal quotidiano, abbandonare l’identità terrena per accedere a un piano più sottile. Da quel confine, le sacerdotesse comunicavano con gli spiriti, interpretavano visioni e pronunciavano oracoli.
Il loro ruolo trova eco in molte figure mitiche. Hecate, la signora dei crocicchi, presiede ai varchi e ai destini; Morrigan, dea del fato e della battaglia, muta forma per osservare ciò che sfugge ai mortali; Persefone, regina del mondo sotterraneo, attraversa ogni anno la soglia tra luce e oscurità. Tutte incarnano l’archetipo della donna liminale, capace di camminare tra vita e morte senza appartenere del tutto a nessuna delle due.
Le sacerdotesse del velo erano viste come ponti viventi. Non temevano l’ignoto, lo servivano. La loro forza risiedeva nella consapevolezza che il sacro si manifesta solo a chi osa guardare oltre. Nei riti, il gesto di sollevare o calare il velo rappresentava l’atto supremo dell’iniziazione: la rivelazione del mistero, il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza.
In chiave esoterica, il velo separa il profano dal sacro, ma è anche il mezzo che li unisce. Le ban-druidh e le ban-fáith lo sapevano: oltre quella sottile barriera non vi è distruzione, ma trasformazione. Esse custodivano la soglia affinché nessuno la varcasse impreparato. E ancora oggi, nei miti e nella memoria, la loro immagine resta intatta — figure avvolte nel silenzio, con lo sguardo rivolto verso un punto che pochi osano vedere: l’altro lato del velo.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe
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