Il Signore delle mosche: belzebù, il peccato di gola
Fu nel medioevo che vennero identificati i 7 principi dell’inferno, i più potenti, che rappresentano poi i 7 peccati capitali. Oggi parliamo di Belzebù, il signore delle mosche, colui che rappresenta: la gola.
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I demoni e diavoli si trovano in tutte le religioni e uno dei più oscuri è Belzebù. Queste entità sono creature sovrannaturali che mirano a corrompere l’onestà e la salute delle persone che li evocano oppure con cui riescono ad entrare in contatto. Essi hanno metodi diversi per riuscire ad attrarre ed è per questo che spiego quanto sia realmente pericoloso il peccato della gola e come mai esso è rappresentato da Belzebù.
Belzebù e il peccato di gola
Tutti siamo “golosi” di qualcosa chi per i dolci e chi per il potere, fama o denaro. Quando si parla di peccati capitali non dobbiamo pensare esclusivamente al termine comune, ma al desiderio smodato che nasce da esso. La gola ne è un esempio! Sappiate che in realtà esso indica la brama ossessionante dell’insaziabilità dell’anima corrotta. Dunque non parliamo solo di un eccesso nel bere o nel mangiare, ma si ha il simbolo del desiderio ossessionante, smodato e incontrollabile verso qualcosa o qualcuno. La vera fame che non si sazia mai.
Nel medioevo, questo peccato capitale, era tra i più temuti ed aveva il volto di Belzebù, conosciuto come il signore delle mosche. Tale collegamento nasce proprio perché le mosche sono animali che divorano senza tregua, continuamente, mangiando anche cose tra le più disgustose e impure. Una fame che non si ferma nemmeno quando ingurgitano qualcosa che li avvelena e li uccide. Il loro ronzio quando sono in “sciame” spaventa perché dove ci sono tante mosche c’è qualcosa che è morto o in decomposizione.
Sempre nel medioevo, alcuni studiosi, come San Tommaso d’Aquino, studiarono profondamente questa “entità oscura” traendo nuove scoperte. Nel Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, lui dimostra come dalla gola nascano poi altri peccati capitali come la pigrizia, avarizia, l’ira e la superbia. Le mosche infatti sono pigre perché mangiano “alimenti”, tra virgolette, in decomposizioni, sporchi o che sono scarti di altri animali, come le feci. Sono avare perché, anche in sciame, lottano tra di loro per il boccone migliore. Si arrabbiano, quindi hanno in sé l’ira, perché se disturbate, mentre mangiano, non vanno via, anzi tornano ancora più feroci. Infine sono superbe, nonostante le cacci via, esse ritornano, ti osservano e poi attaccano. Ecco come mai Belzebù è considerato come il terzo demone più potente.
Bubù settete
Una delle scoperte più sconvolgenti è la parola: bubù! Che mi ha riportato ai ricordi con i giochi che facevo quando ero bambina. Sarà capitato anche a voi, magari quando eravate in braccio a mamma o ai nonni di fare: bubù settete! Ecco, se rientrate in questa categoria, ora rimarrete letteralmente sconvolti.
Il gioco è questo: un adulto si copre il volto con le mani o con un panno. Di fronte ha il bambino. Ad un certo punto, l’adulto dice: bubù settete! Toglie le mani o il panno e mostra il suo volto. Oggi ci sono tante teorie su quanto questo gioco sia utile per stimolare la memoria e il riconoscimento facciale nei bambini, ma, nel medioevo, intorno all’anno 1000 D.C, esso aveva lo scopo di salvaguardare l’anima dei più piccini. Il gioco era un modo per istruire i più piccoli a non cedere al peccato della gola.
Aspettate un attimo che prima apro parentesi. Il monaco Evagrio Pontico, nato nel 345 D.c e morto nel 399 D.c, fu il primo a elencare i vizi principali che corrompono l’anima, essi erano 8, avete sentito bene, erano 8 i peccati capitali chiamati Logismoi ed erano: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, pigrizia, vanagloria e superbia. Essi vennero poi modificati da diversi teologi e religiosi, data la forte influenza della chiesa, da figure come San tommaso d’Aquino e San Gregoria Magno. Essi affermarono che erano 7 i peccati capitali e tolsero la vanagloria (poiché rientrava nella superbia) e cambiarono il peccato della tristezza nell’invidia. Quest’ultima modifica avvenne perché: l’invidia porta alla distruzione altrui e alla propria, mentre la tristezza era un momento di riflessione spirituale che eleva poiché è un dolore dell’anima. Chiusa parentesi.
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Educazione per allontanare Belzebù
Per garantire ai bambini un percorso stabile e che fosse elevato, spiritualmente parlando, si istruivano già da piccolissimi con giochi che possono, oggi, sembrare innocui, ma che in realtà erano terrorizzanti. Bubù settete era eseguito quando il bambino mangiava troppo, più del necessario, oppure chiedeva o ricercava cibo e attenzioni. I genitori o i nonni gli si sedevano davanti e li terrorizzavano dicendo: sai che questo comportamento (come mangiare troppo o chiedere cibo e attenzioni) è un modo per evocare belzebù? Se lo vedi sei condannato. Data la credenza che i diavoli fossero mutaforme, i più grandi si nascondevano il volto dietro a un panno o con le mani e a questo punto dicevano: bubu settete! Se il loro volto non cambiava allora il bambino, per quella volta, non aveva evocato belzebu (abbreviato bubù, nemmeno fosse un amico a cui dare un nomignolo). Altrimenti, se il volto cambiava, ecco che il bambino era preso da questa entità.
Pensate all’ansia o allo spavento che i piccini provavano in quei momenti. Sentendosi anche in colpa per aver evocato, senza volerlo, con il suo troppo desiderio, un diavolo. Sappiate poi che in alcuni monasteri o conventi che accoglievano gli orfani, gli stessi monaci e suore decidevano di fare smorfie o faccia strane, scoprendo il volto, terrorizzando il bambino di turno in modo che quest’ultimo non dimenticasse il rischio che aveva corso… cioè cattiveria allo stato puro, altro che trauma infantile.
Infatti sappiamo di questa pratica di educazione per degli scritti, ottimamente conservati, che erano una sorta di promemoria da passare alle generazioni future, modelli comportamentali da seguire. Anzi, diversi anni fa, lessi di un monaco che si occupava degli orfani e che era solito spaventarli perché si divertiva, st’infame! Tale comportamento educativo divenne poi comune tra il popolo ed è giunto fino a noi!
Ba’al zebul
Il nome di questa entità, cioè Belzebù è quello originale? Quando si pensa ad un’evocazione, tanti sono all’oscuro che si debbono usare parole arcaiche composte da suoni, pause e determinati accenti. Belzebù è il nome “italianizzato” che ci permette di capire che si parla del signore delle mosche, ma… il suo vero nome è: Ba’al zevuv.
Apro una parentesi di curiosità: la parola Ba’al non è un nome, ma un titolo onorifico. Infatti è usato per diverse divinità. Ba’al significa: Signore, padrone, marito. Vado ancora più affondo nel significato originale. Noi, in italiano abbiamo diversi termini, come diceva Paolo Villaggio: l’italiano è una lingua maledetta perché abbiamo tanti termini per esprimere più concetti e molte parole caratterizzare dalla polisemia, cioè con diversi significati. Mentre le lingue straniere, come le orientali e del sud Africa, hanno una parola che indica un qualcosa di superiore. Ba’al indica signore assoluto, padrone supremo, marito che tutto comanda. Ecco come mai ci sono molte entità oscure che hanno il loro nome precedeuto da Ba’al, come:
- Ba’al berith: il signore del patto, colui che esprime menzogne e bestemmie
- Ba’al Hammon: entità che brucia
- Ba’al gad: Signore della fortuna
L’ultimo, che sembra bellissima come divinità, in realtà indica: l’entità della fortuna che richiede comunque un prezzo per quello che ti dona. Chiuso parentesi. Ba’al Zəvûv indica Signore delle mosche dato che Zəvûv significa mosche.
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Testimonianza di Belzebù
Esistono delle iconografiche che parlano di un’entità, metà uomo e metà bestia, con corni da toro sulla testa, con artigli alle mani, circondato da mosche che gli volteggiavano attorno, datate 3000 A.C in Mesopotamia. Poi le ritroviamo in gran parte del territorio medio-orientale e perfino in Europa, in modo particolare in: Sicilia, parte bassa della Campania, lazio e Umbria. In Grecia e nelle isole del mediterraneo.
Poi ci sono dei testi scritti che ne parlano, come:
- Antico Testamento: Il re Ocozia manda messaggeri a consultare Baʿal Zəvûv, dio di Ekron, per sapere se guarirà. (2 Re 1:2-3)
- Nuovo Testamento: Matteo 12:24: i farisei accusano Gesù di scacciare i demoni per potere di Belzebù, “principe dei demoni”. Marco 3:22: gli scribi da Gerusalemme dicono che Gesù è posseduto da Belzebù. Luca 11:15: alcuni accusano Gesù di scacciare i demoni con l’aiuto di Belzebù.
Nel Talmud, tradizione ebraica, e in alcuni testi rabbinici, Baʿal Zəvûv è menzionato come un idolo pagano, usato per ridicolizzare i culti cananei e filistei.
Il peccato nel Medioevo
Mentre nei testi cristiani e medievali ritroviamo:
- Origene (III sec.) e altri Padri della Chiesa interpretano Belzebù come un nome di Satana.
- Nei trattati di demonologia medievale (come il De praestigiis daemonum di Weyer, XVI sec.), Belzebù è classificato tra i grandi principi infernali.
- In letteratura (Dante, Milton), appare come figura diabolica o demone supremo.
Il suo aspetto poi cambia, ma ho intenzione di parlare della sua forma più citata, quindi che gli dà più credibilità. Una divinità oscura maschile con corna da toro, con in mano un fulmine poiché comanda le tempeste. Artigli alle mani, ghigno sul volto. Circondato continuamente da mosche che gli volteggiano attorno. Nel medioevo la sua figura divenne più spaventosa in modo da mostrare tutto il suo potere e la sua malvagità. Rimase un uomo con corna, ma mostruoso con ali di pipistrello e artigli più corti. In tanti disegni comunque è un moscone gigante che si riconosce perché rimangono due cornette sulla fronte.
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Simbolo e manifestazione di belzebu
Il simbolo di Belzebù sono le mosche!
Per questo quando lo si evoca occorre avere un richiamo a questo insetto, evitare mosche morte. Inoltre esso ha 3 simboli che sono:
- Mosca o sciame di mosche: Spiritualmente indica impurità dell’anima, ossessione e pensieri ossessivi. La tentazione verso il “putrido”, cioè verso le azioni che sono bieche e vili.
- Corna toro e ali di mosca: indica i poteri oscuri e la trasgressione delle leggi divine. Nessun vincoli materiali e morali
- Fuoco e decomposizione, vale a dire il simbolo del fuoco con elementi di putrefazione: significa la trasformazione tramite la distruzione, una purificazione negativa, la morte spirituale e il decadimento morale
Una volta evocato nelle pratiche magiche inizia a manifestarsi con un brusio simile a un nugolo di mosche. Si avverte un fetore nauseabondo, spesso di carne putrida. Belzebù si mostra con sembianze di altri insetti come grilli e scarafaggi, oltre che di mosche e mosconi. Per scacciarlo è bisogna ricorrere a degli esorcisti arcaici e pare che non sopporti la preghiera del Credo cristiano.
La strega Isolda e il signore delle mosche
Nel cuore della campagna bolognese, tra colline brumose e boschi antichi, sorgeva il villaggio di San Luca. Qui viveva una donna chiamata Isolda, nota tra la gente come la saggia del villaggio. Molti si rivolgevano a lei per rimedi alle malattie, incantesimi per i raccolti o protezioni contro malanni inspiegabili. Una donna gentile, ma pochi sapevano cosa si nascondeva dietro il suo sorriso.
Isolda era ossessionata dalla conoscenza proibita: studiava vecchi grimori e testi cabalistici nascosti negli scaffali polverosi delle biblioteche dei monasteri abbandonati. La sua ambizione più segreta era evocare Belzebù, il Signore delle mosche.
Per mesi preparò l’evocazione fino al giorno prestabilito. Raccolse candele nere e incenso proibito. Riuscì a procurarsi pergamene vergate con simboli antichi.
Tracciò cerchi di protezione sul pavimento della sua stanza con cenere, sale e sangue di animale, secondo le istruzioni di un antico manoscritto. Pose al centro del cerchio un teschio umano e una ciotola d’acqua stagnante, simboli della vita e della morte.
Quando la notte calò senza luna, Isolda intonò le parole antiche, evocando Belzebù. L’aria si fece densa, e un ronzio come di mille mosche riempì la stanza. Dall’oscurità emerse l’entità: ali nere come il velluto più oscuro, occhi infuocati e un’aura di potere che faceva tremare le ossa. «Perché mi evochi, mortale?» sussurrò il demone, e la sua voce vibrava come un canto d’inferno.
Isolda non tremò. Chiese i doni che avrebbe potuto trasformarla nella donna più potente del mondo: conoscenza proibita, potere sulle menti degli uomini, e la capacità di guarire e maledire a piacimento. Belzebù rise, un suono che ricordava il ronzio di mille mosche che si agitavano nella carne morta. «Accetto», disse, «ma ricorda: ogni dono ha un prezzo, e la tua fine sarà tragica.» Isolda ignorò l’avvertimento e accettò.
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Il patto rispettato
I doni si manifestarono subito. Con un semplice gesto, le malattie svanivano. Con un sussurro, i segreti più nascosti degli uomini erano rivelati. La mente di Isolda si aprì a conoscenze che nessun mortale avrebbe potuto comprendere: lingue dimenticate, formule per controllare gli elementi e perfino le chiavi per dominare le anime degli uomini. Nei suoi sogni, Belzebù appariva sotto mille forme: talvolta come un uomo cornuto, talvolta come un enorme insetto con occhi di fuoco, insegnandole segreti e oscurità che sfidavano ogni ragione. Tuttavia, ogni dono aveva un peso. Isolda iniziò a percepire ombre in ogni stanza, rumori nei boschi che la seguivano, passi pesanti alle sue spalle, ronzio incessante di mosche invisibili nelle orecchie. La gente del villaggio cominciò a mormorare. Raccolti che crescevano rigogliosi ora marcivano senza spiegazione, animali che scomparivano e apparizioni notturne lungo i sentieri dov’era passata Isolda. La fama di Isolda si diffuse rapidamente, e persino nobili e mercanti iniziarono a cercarla, attratti dalla promessa di potere e guarigione.
Ma la sua notorietà attirò l’attenzione dell’Inquisizione. Una mattina, uomini vestiti di nero irruppero nella sua casa. Le accuse erano gravi: patti con il demonio, malefici e stregoneria. Isolda fu trascinata davanti all’Inquisizione bolognese. La folla guardava con occhi pieni di terrore e curiosità, mentre lei manteneva lo sguardo fiero e impenetrabile. I suoi doni non potevano proteggerla dai giudici mortali, ma il suo spirito rimaneva indomito.
Il verdetto fu crudele: condanna a morte sul rogo. Mentre le fiamme lambivano la sua pelle, Belzebù apparve un’ultima volta, una figura oscura e imponente. «Ti avevo avvertita», sussurrò. In quel momento, Isolda sentì i doni trasformarsi in catene invisibili che avvolgevano la sua anima, legandola per l’eternità al demone che aveva osato evocare.
Oggi: la leggenda della strega isolda
La leggenda racconta che lo spirito di Isolda non troverà mai pace rimanendo intrappolato tra il mondo dei vivi e quello dei demoni, vagando tra i boschi e le colline di Bologna nelle notti senza luna. Si dice che chi osi pronunciare il nome di Belzebù nei luoghi che frequentava la strega percepisca un brivido correre lungo la schiena, un ronzio che sembra crescere nelle orecchie fino a diventare insopportabile. È la voce di Isolda, condannata a ricordare ai vivi il prezzo del potere proibito.
E così, nei secoli, la storia di Isolda e Belzebù divenne monito. Gli abitanti dei villaggi vicini ai boschi di San Luca continuavano a raccontare di voci sussurranti, di ronzio di mosche tra gli alberi, e di ombre che si muovevano al crepuscolo. 60 Era la presenza della strega e del demone, simbolo eterno di ambizione e corruzione, un avvertimento per chiunque desiderasse più di quanto fosse lecito. La leggenda di Isolda sopravvive ancora oggi, tramandata da generazione in generazione. Alcuni credono di aver visto un bagliore tra le foglie o di aver udito un sussurro che raccontava segreti oscuri. La sua storia è un intreccio di magia proibita, potere, tradimento e maledizione: un racconto che ricorda che i doni del Signore dei Demoni non portano mai salvezza, ma soltanto ombre e catene invisibili che avvolgono l’anima.
Così, tra le colline di Bologna, le foreste nascondono antichi segreti, sopravvive la memoria di Isolda e del suo patto con Belzebù: una storia che insegna la fragilità dell’uomo di fronte all’oscurità e la terribile seduzione del potere proibito. Finché qualcuno ascolterà il ronzio delle mosche nelle notti senza luna, la leggenda della strega di San Luca continuerà a vivere, ricordando a tutti che la brama di potere porta sempre alla rovina.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe
