La Quercia delle Streghe, storia del Santuario di Loreto
Si racconta che la Quercia delle Streghe di Loreto sia molto più di un albero secolare! Un albero delle streghe, una porta per arrivare in un mondo che è oscuro perché conduce a conoscere le 3 magie principali. Andiamo a bussare!
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La quercia delle streghe più antico, in un luogo dove la magia è nell’aria, una magia che è bianca di mattina, rossa nel pomeriggio e oscura la notte, si trova a Loreto. Qui la stregoneria ha radici profonde proprio come l’albero che lo rappresenta.
Curiosamente, Loreto, è nota anche nella fede cristiana a causa delle famose “visioni mariane” dove appunto è stato costruito il più grande santuario mariano al mondo. Devo aprire subito parentesi per spiegare cosa sono le visioni mariane. Le visioni mariena sono na manifestazione diretta (visibile, sensibile o percepibile) della vergine Maria. Tale apparizione si palesa con: odore di rose, visione del suo spirito in un fascio luminoso o fantasma, sensazione di essere accarezzati, di avere o vedere una mano poggiata su una spalla oppure con estasi mistica. Preciso però che le visioni mariane erano presenti ancor prima dell’arrivo della fede cristiana.
Gli antichi romani, in determinati luoghi, dove rientra loreto che era un territorio appartenente alla colonia romana di Numano, sul Conero. Loreto venne fondata poi nel medioevo. Comunque esistono più scritti romani in cui si usava il territorio dell’attuale Loreto per eseguire rituali e culti per la madre Cerere, dove appunto era possibile vederla o percepirla allo stesso modo dell’attuale visione della vergine maria. Le visioni mariane quindi sono più antiche di quel che si pensa. Chiuso parentesi.
Torniamo alla splendida quercia delle streghe!
L’aspetto spaventoso e poteri della quercia
Quest’albero non era solo una quercia, si trattava e si tratta di una soglia, un ponte tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti. Le sue radici, profonde e ramificate come vene di pietra, affondavano non solo nella terra ma anche nei regni invisibili, succhiando linfa da fonti arcane.
Questa era la convinzione della stregoneria. Ogni ghianda che cadeva non era semplice frutto, ma seme di potere. Chiunque la stringesse avvertiva un fremito, un bisbiglio di segreti antichi. La corteccia si usava per creare amuleti e talismani oppure ridotta in polvere e bevuta con vino notturno, perché donava visioni profetiche e sogni chiaroveggenti. Il tronco, era diverso, possente e cavo. Continuamente, durante le notti, si udivano creature notturne: civette che parlavano con voce umana, pipistrelli che si mutavano in ombre, e persino serpi che si facevano vedere per dare messaggi a chi li si sapeva capire.
Visione della quercia
Nelle notti di luna piena filtrava attraverso le foglie fasci di luce argento vivo e cadevano scintille invisibili che si dice potevano guarire o maledire, a seconda della volontà di chi le raccoglieva. Si diceva che la Quercia scegliesse chi poteva beneficiare dei suoi doni, come se fosse viva. Ai puri regalava forza e protezione, agli avidi donava tormento e follia. Le radici spuntavano a tratti dal terreno e sembravano serpenti addormentati ed era uno dei tratti unici di questa quercia che, torno a dire, era diverso dagli altri.
Le streghe del paese le conoscevano bene e la utilizzavano per accrescere i loro poteri. Toccandola si curavano malattie o si piegava la sorte dei nemici. Alcune donne giuravano di aver visto bagliori verdi filtrare da sotto il terreno durante la notte oppure all’alba, come se un cuore pulsante di fuoco vivesse sotto la Quercia, alimentando la sua eterna vitalità. Per questa ragione, era proibito abbattere la quercia o spezzarne un ramo: chi osava sfidarla, cadeva preda di sventure improvvise. La Quercia delle Streghe non è soltanto un albero: è un altare, un’entità vivente, custode di segreti, ponte verso il mistero.
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I sabba sotto la Quercia
Ogni luna piena, quando il villaggio taceva e le campane delle chiese dormivano mute, il prato attorno alla Quercia si trasformava diventando vivo, muovendosi. Le streghe, per arrivare all’albero, dovevano camminare scalze, per farsi riconoscere, per far riconoscere la loro energia. Camminavano veloci avvolte in mantelli neri. Nessuno le vedeva giungere: sembrava emergere dalla nebbia stessa, come ombre sussurrate.
Attorno al tronco cominciavano i sabba. Al centro, un fuoco acceso con rami caduti dalla Quercia stessa. Il fuoco bruciava senza consumarsi, emanando fumo bluastro che sapeva di resina e sangue. Le streghe danzavano in cerchio.
Le donne intonavano canti in lingue arcaiche, nel famoso linguaggio delle streghe, mescolando preghiere e bestemmie, lodi alla luna e maledizioni contro i loro persecutori. Alcune lanciavano nell’aria manciate di erbe e ossa d’animali; altre sollevavano coppe di vino nero, ottenuto spremendo bacche selvatiche e sangue di capro. Ogni gesto aveva significato: un passo era un giuramento, un grido era un richiamo, una risata era una lama contro i nemici. Si narrava, secondo le leggende, che le danze si facessero tanto frenetiche da sollevare i corpi da terra: le streghe fluttuavano sopra l’erba, avvolte in spirali luminose. Chi osava guardare da lontano vedeva scintille correre fra le loro dita, lampi improvvisi che si spegnevano nel buio. A volte comparivano animali impossibili: corvi dalle piume d’oro, cani senza ombra, capre che ridevano con voce umana. I sabba erano momenti di comunione con la Quercia. Le streghe si sedevano infine ai suoi piedi, posando le mani sul tronco caldo e pulsante, ricevendo visioni. Alcune vedevano il futuro del villaggio, altre i segreti dei vicini, altre ancora intravedevano la morte in volto. Nessuna usciva indenne da quei riti: o ne guadagnava poteri, o veniva segnata da cicatrici invisibili, destinate a durare fino all’ultimo respiro.
L’evocazione del Signore Oscuro
Un sabba diverso dagli altri, di cui parlano ancora oggi i vecchi, segnò il destino della Quercia. Era una notte senza stelle, con la luna coperta da nubi spesse come ferro. Le streghe decisero di compiere il rito proibito: evocare il Signore Oscuro.
Scavarono un cerchio sotto la Quercia, cospargendolo di sale e sangue animale. Al centro posero un calice d’argento pieno di vino e cenere. Le radici, mosse come serpenti, aprirono un varco nella terra e da quel varco uscì il Diavolo. Il suo aspetto era terribile e magnifico: alto come il tronco stesso, con corna di ariete avvolte da fiamme, occhi rossi come carboni e pelle nera lucida come ossidiana. Le ali, simili a quelle di pipistrello, battevano generando venti caldi che piegavano l’erba. Dalla bocca, larga e sorridente, usciva un fumo che odorava di zolfo e miele.
Il Diavolo parlò con voce profonda, promettendo doni. A chi si inginocchiava offriva forza oltreumana, la capacità di guarire e di uccidere con uno sguardo, il potere di piegare gli uomini ai propri desideri. Alcune streghe lo adorarono, altre tremarono di paura. Ma tutte ricevettero il marchio: un segno invisibile sulla pelle, che bruciava al contatto con l’acqua santa. Da quella notte, si dice che la Quercia divenne ancor più potente perché divenne una porta, una soglia in grado di aprire le 3 porte delle magie principali: la bianca, la rossa e la nera. Le radici conservavano l’eco del patto oscuro, e i suoi rami portavano frutti di potere e di maledizione.
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La strega anziana
La più rispettata fra le streghe era Alvina, la strega anziana. Aveva capelli bianchi lunghi fino alla vita e occhi che parevano due perle lattiginose, ciechi agli uomini ma capaci di vedere il destino. Viveva in una capanna ai margini del bosco, circondata da gufi e volpi, che la seguivano come fedeli servitori.
Fin da giovane era stata toccata dalla Quercia. Si diceva che, da bambina, fosse caduta dentro una cavità del tronco e vi fosse rimasta tre notti. Quando riemerse, aveva negli occhi il potere della chiaroveggenza. Da allora sapeva leggere il futuro in una fiamma, ascoltare i pensieri in un sospiro, predire la morte osservando le ombre delle persone.
Alvina guidava i sabba con voce roca, recitando formule antiche che nessun altro ricordava. Era colei che poteva parlare direttamente con lo spirito della Quercia, che la considerava sua figlia prediletta. Molti la temevano, altri la veneravano come guaritrice: i suoi decotti curavano febbri e pestilenze, ma chi osava offenderla si svegliava con piaghe misteriose. Il suo dono più oscuro era quello della metamorfosi: poteva trasformarsi in corvo e volare sopra i tetti del villaggio, spiando segreti e rubando sogni. Per questo, di notte, i cani abbaiavano guardando il cielo: sapevano che Alvina era in volo.
La strega madre
La seconda era Miralda, la strega madre. Aveva lunghi capelli neri e la forza di chi aveva dato vita a molti figli, non tutti umani. Era considerata la custode della fertilità e della morte. Viveva nei pressi della Quercia, in una casa scavata nella collina, piena di culle vuote e bambole di cera.
Miralda conosceva i segreti del corpo. Preparava unguenti che rendevano le donne feconde o sterili a seconda della volontà. I suoi intrugli erano cercati in segreto da contadini e nobildonne: nessuno voleva ammettere di dipendere dalla strega, ma tutti finivano da lei. Il suo legame con la Quercia era viscerale: si diceva che avesse partorito sotto i suoi rami e che ogni figlio nato lì avesse portato in sé un frammento di potere. Alcuni morirono appena nati, altri diventarono uomini e donne con doti straordinarie.
Nei sabba, Miralda era la voce della passione. La sua danza era irresistibile, e quando batteva i piedi sul terreno, le radici rispondevano con tremori. Il suo dono era quello di infondere vita o di sottrarla: un tocco delle sue mani poteva ridare vigore o spegnere il respiro.
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La strega novizia
Infine vi era Lidia, la strega novizia. Giovane, dai capelli ramati e dagli occhi verdi come l’erba fresca, era stata iniziata da poco ai misteri della Quercia. Non aveva ancora la forza delle sue maestre, ma la sua purezza la rendeva speciale: la Quercia la amava.
Lidia parlava con gli animali come fossero fratelli. Gli uccelli si posavano sulle sue mani, i cervi la seguivano docili, persino i lupi le leccavano le dita. Il suo potere era quello della comunicazione con la natura: poteva chiedere alle radici di aprirsi o alle foglie di nasconderla. Nella comunità delle streghe era la speranza di un futuro. Alvina vedeva in lei la continuatrice della tradizione, Miralda la vedeva come figlia. Ma Lidia era divisa: il suo cuore provava compassione per i contadini del villaggio, che spesso erano vittime dei sortilegi. A volte pregava segretamente la luna di perdonarli, chiedendo alla Quercia di non infliggere loro troppi mali.
Il suo dono ancora acerbo brillava però nei sabba: quando Lidia cantava, la Quercia stessa sembrava piegarsi verso di lei, e le foglie tremavano in armonia.
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Le anime legate alla Quercia
Il destino volle che le tre streghe morissero in tempi diversi, ma il loro spirito non abbandonò mai la Quercia. Alvina, ormai stanca e curva, un giorno si addormentò ai suoi piedi e il suo corpo si dissolse come cenere al vento. Miralda, colpita da una febbre, chiese di essere sepolta tra le radici: e da quel momento la collina intera parve respirare con lei. Lidia, infine, scomparve durante un sabba: alcuni dissero che la Quercia l’aveva accolta al suo interno, trasformandola in voce e canto eterno. Da allora, chi si avvicinava all’albero nelle notti di luna piena udiva tre sussurri: la voce roca di Alvina che profetizzava destini, il canto caldo di Miralda che invitava alla vita e alla morte, e il mormorio dolce di Lidia che parlava con gli uccelli. Tre presenze unite, inseparabili, che proteggevano e maledicevano a seconda di chi si trovava davanti.
Significato segreto della quercia
La Quercia divenne così un reliquiario vivente, scrigno di anime. Le sue radici custodivano i cuori delle streghe, i suoi rami si piegavano sotto il loro peso invisibile. Molti giurarono di vedere tre figure danzare attorno al tronco: un’anziana curva con occhi lattiginosi, una donna fiera con mantello scuro e una fanciulla dai capelli di rame. Bastava un lampo, un’ombra, e subito sparivano.
Con il tempo, il villaggio imparò a rispettare e temere la Quercia. Nessuno osava abbatterla, perché sapevano che significava scatenare l’ira delle tre streghe. Anzi, alcuni portavano offerte: latte, miele, candele, lasciati ai piedi del tronco per placare le sue custodi invisibili. Altri credono che, finché un seme della Quercia germoglierà, le streghe continueranno a vivere, vegliando nell’ombra, pronte a danzare di nuovo sotto la luna.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe
