La strega di port’alba: la sposa maledetta di napoli
Tra i vicoli di Napoli, dove il tempo odora di incenso e superstizione, una donna dai capelli di fuoco attende ancora chi osa pronunciare il suo nome. La strega di Port’Alba, la sposa maledetta di Napoli.
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Nella Napoli del XVII secolo, una città vibrante e chiassosa, ma permeata di superstizioni e timori occulti, visse una giovane donna che la gente ancora oggi ricorda con il nome di Maria la Rossa. Il suo nome nasceva per i suoi capelli color fuoco, la pelle bianca e piene di lentiggini. Una bellezza folgorante che la rendevano famosa in tutto il rione che oggi conosciamo come Port’Alba, ma che all’epoca si chiamava Piazza delle Sciuscelle. La sciuscella sarebbe la “carruba” un cibo usato per l’alimentazione di cavalli, asini, muli. Animali da tiro che trasportavano carri di cibo e legna in tutta Napoli. Proprio per le tante fontane e per gli alberi di carruba, che permettevano di avere del cibo gratuitamente per le bestie, questa piazza era molto trafficata.
I vicoli stretti poi nascondevano anche donne che conoscevano le arti antiche. Ancora oggi non sappiamo chi fossero i genitori di Maria la Rossa, ma erano di umili origini. La giovane divenne quindi famosa e in tanti la corteggiavano, ma Maria cresciuta tra storie di magia popolare e superstizione, era già innamorata di un giovane che si chiamava: Michele. Cosa sappiamo di Michele. Lui era un conciatore di pelle, che per l’epoca era un buon lavoro e chi lo svolgeva era un buon partito. Bello, giovane e dal carattere mite. Si vociferava che Michele, prima di innamorarsi di Maria la rossa, avesse avuto già diversi “flirt” e, in particolare, aveva promesso a 2 giovani di sposarle, cosa che però non avvenne mai.
L’incontro e l’amore sconvolgente
I due, maria e michele, si incontrarono casualmente in una delle stradine affollate, dove gli artigiani lavoravano il cuoio e i mercanti vendevano le loro merci; tra uno sguardo e una parola, nacque un sentimento sincero e immediato. Nonostante la giovane età, Maria dimostrava una maturità emotiva rara: il suo amore per Michele non era superficiale, ma totalizzante.
Nei mesi che seguirono, i due furono inseparabili. Passeggiavano tra le piazze, scambiavano sorrisi furtivi sotto gli alberi di carrubo, e parlavano di un futuro insieme, immaginando una casa modesta ma piena di affetto. La loro relazione, però, non era priva di ostacoli: la gelosia dei vicini, le malelingue e le dicerie popolari erano in agguato, pronte a trasformare una storia d’amore innocente in un dramma leggendario. I pettegolezzi su Maria poi aumentarono quando iniziò a mettere su peso, si diceva che fosse incinta, ma a distanza di mesi la calunnia cambiò dicendo che aveva perso il bambino.
C’erano poi alcune donne, che in seguito si seppe avevano avuto una storia d’amore con Michele, che sparlavano della ragazza dicendo che era: femmena di malaffare, cioè una facile, una donna che si concedeva agli uomini quando Michele era impegnato al lavoro. Ciò nonostante i due decisero di sposarsi. Maria però non voleva farlo per timore delle malelingue, invece Michele lo rivelò subito a tutto il rione.
Il fidanzato che si blocca prima del matrimonio
Il giorno del matrimonio gli amici e i parenti si erano radunati nella piccola chiesa del rione, adornata con fiori semplici ma colorati, e l’aria era permeata dal profumo dell’incenso e della primavera. Tuttavia, il destino, intrecciando amore e superstizione, decise di intervenire in modo tragico. Mentre la coppia percorreva Piazza delle Sciuscelle, passando per il piccolo varco del muro che poi sarebbe diventato Port’Alba, si fermarono presso una fontana. Ora però sono costretta a parlare della leggenda, per poi tornare sulla storia vera.
Secondo la leggenda, in quel punto Michele rimase inspiegabilmente inchiodato al suolo, immobilizzato. Alcuni cronisti successivi, cercando di razionalizzare l’evento, ipotizzarono un fulmine caduto a distanza ravvicinata, oppure una forza misteriosa scatenata dalla gelosia o dall’invidia di chi mal sopportava la felicità altrui. Altri ancora sostenevano che fosse una fattura, un sortilegio preparato da mani ignote, un avvertimento oscuro per la giovane coppia. Maria cercò disperatamente di tirare Michele, di convincerlo a proseguire verso la chiesa. La scena, drammatica e silenziosa, attirò l’attenzione dei passanti. Alcuni sussurravano preoccupati, altri guardavano con paura, certi che ciò fosse un cattivo presagio. Michele, incapace di muoversi, interpretò l’evento come un segno: un avvertimento che il destino non fosse dalla loro parte. Spaventato, confuso e intimidito dalle malelingue già presenti nel rione, scelse di lasciare Maria sul posto, ritirandosi tra gli sguardi increduli dei parenti e dei vicini.
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Cosa capitò realmente a Michele?
Quando il giovane venne chiamato dalla santa Inquisizione, perché Maria fu accusata, a distanza di anni da quell’evento, di stregoneria, Michele rivelò quello che gli era successo. Qualche giorno prima del matrimonio gli era giunta voce che a casa della sua futura sposa, dopo le 2 di notte, andassero uomini e donne. Costoro, gente del luogo, facevano fare fatture e iatture, ma non era chiaro se da Maria o da sua madre. Il giovane, quella notte, rimase nascosto fuori la casa della sua fidanzata e vide entrare ed uscire 2 donne e un uomo anziano però in diversi orari. Intimorito di sposare una strega, lui stesso era andato da una “mammana”.
Apro parentesi sul dialetto campano e del sud italia: la mammana era il nome con cui si identificavano le levatrici o chi faceva partorire. In generale era una “guaritrice”. Però, già nel 1600 era anche il nome con cui si identificavano le donne che provocavano aborti clandestini oppure prevedevano il futuro di un matrimonio. Chiuso parentesi.
Michele, sciocco e ignorante a parer mio, stava confessando alla santa Inquisizione di essersi rivolto ad un’altra strega per sapere se la sua futura sposa era anch’ella una strega. Continuando nell’interrogatorio, lui disse che: dopo che mi era stata data quella informazione e dopo aver visto con i miei occhi queste persone entrare ed uscire dalla casa di Maria, si era rivolto ad una sua ex amante, di cui non fece il nome per mantenere il suo onore. Costei, che aveva incontrato di notte per non essere compromessa, l’aveva mandato proprio dalla mammana. In ultimo, la mammana gli disse: il giorno del matrimonio, passa davanti ad una fontana, se da li vedrai passare un cavallo nero che ti fissa, sappi che quello è il demonio che ti avvisa di stare per sposare una delle sue seguaci. Guarda caso Michele, quel giorno, si fermò alla fontana e vide un cavallo nero che lo stava guardando.
L’amante misteriosa
A questo punto della confessione, Michele affermò che non voleva più sposare Maria, ma temeva che lui lo maledisse. Semplicemente si bloccò e dopo che la gente iniziò a ridere e sghignazzare, fuggì via. Faccio una riflessione personale! In una piazza dove continuamente c’era un via vai di cavalli da carico, dove appunto gli agricoltori delle terre vicine andavano per raccogliere carrube gratuitamente. Una piazza famosa per le fontane di abbeveraggio di viandanti e animali da tiro, ma è tanto strano che, durante la giornata si incontri un cavallo nero. Poi i cavalli di quel colore oggi come allora, sono i più comuni. Secondo luogo, nonostante abbiamo cercato e ricercato informazioni, non ho chiaro questo passaggio. Michele aveva ricevuto la notizia che gente entrava ed usciva dalla casa di Maria. Da chi aveva avuto questa informazione? Non si sa! Poi Michele, che io chiamo Santo Michele, invece di parlare con amici o genitori, ha chiesto aiuto ad una sua ex amante? Un ex amante che ha incontrato di notte? L’ha incontrata per caso? Oppure avevano già un appuntamento amoroso?
La mia opinione è che Michele, santo Michele, ha continuato a frequentare le sue amanti. Una di queste, per gelosia, potrebbe averlo convinto a rivolgersi ad una mammana con cui lei si era già accordata. Pensate sia possibile? Io si! Soprattutto mi chiedo: perché la santa inquisizione non è andata affondo a questa storia? Non si sono interessati della mammana, che è una strega. Né dell’amante e nemmeno agli sconosciuti che sono entrati in casa di maria.
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L’abbandono!
Dopo che Michele fuggì, Maria devastata e con il cuore spezzato, con in mente l’immagine dell’intera piazza, testimone involontaria, ricordava solo 4 volti in particolare. Cosa successe? In base alle diverse testimonianze, il giovane fuggì via, nonostante fosse stato ostacolato dai parenti e amici presenti. Maria crollò in lacrime su sé stessa. La portarono via alcune sue zie. Nella piazza si alzarono risate e grida.
Alcune di queste dicevano: Maria a’ rossa, maria a’ spos… che aspett. Oppure: la bella è fuoco, mo sé spent. O ancora: a vergine solo int a vest e spos. Infine: e mo, chi sa pijia chiu. Tutte frasi taglienti che significavano che la ragazza era stata compromessa, che nessuno l’avrebbe più sposata perché chissà cosa aveva fatto con il suo fidanzato. Da qui iniziarono storie e sussurri su ciò che era accaduto. Gli storici del folclore napoletano raccontano che l’episodio della fontana fu ricordato per generazioni, diventando il fulcro di dicerie e superstizioni. La fontana era maledetta. I fidanzati non gli si avvicinavano. Tutti gli sposi, si recavano in chiesa, il giorno del loro matrimonio, passando per strade alternative che erano più lunghe, ma più sicure perché non passavano di fronte alla fontana. Per oltre 100 anni venne chiamata: la fontana delle lacrime o la fontana degli sposi disgraziati.
I pettegolezzi su Maria, la strega
Dopo il giorno maledetto alla fontana, Maria non fu più la stessa. Michele sparì dal rione, e le lingue cominciarono a sciogliersi. Napoli, nel Seicento, era una città dove la parola correva più veloce del vento. Bastava un gesto, uno sguardo fuori posto, per scatenare sospetti e calunnie. Le donne del quartiere, che fino a poco prima ammiravano la bellezza della giovane, iniziarono a mormorare che Maria avesse portato sventura sul proprio uomo. “Nessuno può sfidare la sorte e restarne impunito,” dicevano.
C’era chi sosteneva che la ragazza fosse stata respinta perché “marchiata dal demonio”, chi affermava che Michele fosse fuggito dopo aver scoperto in lei una natura ambigua, troppo passionale, troppo intensa per essere umana. Le chiacchiere si moltiplicavano, e col tempo divennero verità accettata. Maria, una volta la più corteggiata del rione, divenne oggetto di scherno e paura. Le donne si facevano il segno della croce al suo passaggio, i bambini correvano via, e gli uomini la guardavano con sospetto e disgusto. Maria si chiuse in casa. Parlava poco. Evitava perfino di affacciarsi in piazza. Le notti erano piene di pianto: i vicini raccontavano di udire la sua voce invocare il nome dell’amato fino all’alba. La sua bellezza si spense lentamente, come una candela consumata dal vento. Il suo corpo divenne magro, il viso pallido, e i capelli rossi si fecero più scuri, quasi a riflettere l’ombra che stava calando su di lei. Fu in quei mesi di silenzio e disperazione che Maria la Rossa cominciò, secondo la leggenda, a cambiare per sempre.
L’inizio della stregoneria
Quando il dolore supera il limite del sopportabile, l’animo umano cerca rifugio ovunque. Per Maria, quel rifugio fu la magia. Napoli, a quei tempi, era una città di contrasti: accanto alle chiese e ai monasteri pullulavano erboristi, fattucchiere, mammane e guaritori. La linea tra fede e superstizione era sottile. Maria iniziò a frequentare una vecchia donna conosciuta come “’a zì Maruccia”, che abitava nei pressi del quartiere dell’Arenella e che si diceva conoscesse gli antichi rimedi delle erbe e delle lune. Lì, tra un decotto e un infuso, Maria imparò i segreti delle piante, i poteri delle radici e il linguaggio delle stelle. Non era magia nera, almeno all’inizio: era un modo per alleviare il dolore, per ritrovare un senso, un ordine, dopo la follia dell’abbandono.
Col passare dei mesi la sua conoscenza crebbe e con essa la paura della gente. Si diceva che parlasse da sola davanti alla finestra nelle notti di luna piena, e che le ombre nella sua stanza si muovessero come se avessero vita propria. Alcuni giuravano di aver visto candele accese a ore impensabili e di aver udito voci sussurranti provenire dalla sua casa. Maria iniziò a preparare filtri e pozioni per chi glieli chiedeva: rimedi per l’amore, talismani per la fortuna, infusi per scacciare la malattia. Chi le si rivolgeva con cattive intenzioni — un marito infedele, una suocera maligna — spesso si ammalava, o cadeva vittima di incidenti misteriosi. La voce corse veloce, e nel giro di poco Maria non era più vista come una giovane sfortunata, ma come una strega.
Le donne del rione, pur temendola, continuavano a cercarla di nascosto. La ragazza divenne la “strega di Port’Alba”, capace di piegare la sorte e di parlare con i morti.
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Le quattro donne maledette dalla strega Maria la Rossa
Con il tempo, la rabbia di Maria trovò bersagli concreti. Nella sua confessione rivelò che ricordava 4 volti, in tutta la piazza che ridevano e sghignazzavano, ed erano 4 volti di donna. Quattro donne del rione pagarono a caro prezzo le loro offese.
La prima fu Lucia la sarta, che aveva diffuso la voce secondo cui Maria aveva venduto l’anima al diavolo. Una mattina, la trovarono priva di sensi, con le dita irrigidite come se stesse ancora cucendo. Non poté mai più usare le mani. La seconda, Carmelina la bottegaia, rideva di Maria ogni volta che la vedeva passare. Un giorno, il suo negozio prese fuoco misteriosamente, e il fumo disegnò sul muro una figura femminile dai capelli rossi. La terza, Assunta la comare, accusò Maria di aver fatto ammalare suo figlio. Pochi giorni dopo, Assunta cadde in una febbre delirante che la fece urlare per notti intere il nome di Maria, fino alla morte. L’ultima fu Filomena, una giovane che aveva corteggiato Michele prima e dopo la separazione. Si racconta che un mattino, mentre si pettinava davanti allo specchio, vide riflessa alle sue spalle l’immagine di Maria e, spaventata, impazzì.
Queste storie si tramandarono di bocca in bocca, alimentando la convinzione che Maria fosse davvero capace di maledire. Ogni disgrazia del quartiere veniva attribuita a lei. E più cresceva la paura, più il suo potere diventava leggendario.
L’Inquisizione si interessa alla strega Maria la Rossa
Nell’anno del Signore 1625, l’Inquisizione aveva occhi ovunque. Bastava una denuncia anonima, una diceria insistente, per attirare l’attenzione dei frati domenicani incaricati di “purificare” la città. Maria la Rossa non poté sfuggire al destino che la sua fama le aveva costruito intorno. Le autorità ecclesiastiche ricevettero più segnalazioni: malefici, malattie inspiegabili, incendi, apparizioni notturne. Le testimonianze, gonfiate dal terrore popolare, bastarono a farla convocare. Dapprima tentarono con l’ammonizione: le imposero di non praticare più “arti occulte”. Tuttavia i vicini testimoniarono contro di lei dicendo che non smise mai di essere una strega. L’indagine e la sentenza fu breve e senza alcuna pietà.
Dichiarata colpevole di stregoneria. La sua fine non fu rapida: le autorità decisero per una punizione esemplare, degna di chi aveva, secondo loro, contaminato l’anima del popolo con le proprie arti oscure, di: ingabbiamento. Nel cuore di Port’Alba, ancora oggi, si racconta del “gancio della strega”. Sotto l’arco che collega la piazza alle mura spagnole, si vede un grande chiodo di ferro infisso nella pietra ed è lì che Maria la Rossa venne appesa. La pena dell’ingabbiamento era tra le più crudeli del tempo. Riservata a coloro che dovevano servire da monito pubblico. Maria fu rinchiusa in una gabbia di ferro, sospesa a pochi metri dal suolo, esposta al sole, alla pioggia e agli sguardi della folla. Non le fu concesso né cibo né acqua: la morte doveva arrivare lentamente, come purificazione dell’anima e castigo per il corpo. Le cronache dell’epoca raccontano che nei primi giorni la donna pregava, poi pianse, infine tacque. Gli abitanti del rione gli gettavano pietre contro oppure si segnavano con la croce quando la osservavano. Nessuno la aiutò.
Ma qualcosa accadde: si dice che, man mano che il corpo di Maria si indeboliva, la città cominciasse a essere colpita da eventi strani. Il cielo rimaneva per giorni di un colore rosso cupo, i pozzi si prosciugavano, e un vento gelido soffiava tra le case anche in piena estate. I frati dell’Inquisizione interpretarono tutto questo come l’opera della strega morente.
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La maledizione della strega Maria la Rossa
Prima di esalare l’ultimo respiro, Maria raccolse le sue ultime forze e pronunciò parole che ancora oggi fanno tremare chi le ripete:
“La pagherete tutti. I vostri figli, i vostri nipoti e i figli dei vostri figli. Tutti sentiranno il mio dolore.”
Fu un grido lanciato contro la città intera, un’eco che si dice abbia risuonato per giorni tra le mura di Port’Alba. Dopo la sua morte, il rione conobbe anni di sventura: carestie, malattie, incendi. Ogni disgrazia veniva attribuita alla maledizione di Maria la Rossa. La leggenda racconta che, dopo la sua morte, il corpo di Maria non si decompose. I soldati incaricati di rimuoverlo trovarono la pelle intatta, dura come la pietra, e il volto sereno, quasi vivo. Spaventati, gli inquisitori ordinarono di portarlo via di nascosto e di seppellirlo lontano dalle mura, per evitare che la gente lo venerasse come reliquia o temesse la sua presenza. Da allora, nessuno seppe dove fu sepolta. Ma molti giuravano di aver visto, durante i lavori di ampliamento della porta, una figura di pietra sepolta nel muro: una donna dai lunghi capelli, col capo chino e le mani giunte. Alcuni credevano fosse la statua di una santa. Altri, che fosse il corpo pietrificato di Maria la Rossa, ancora prigioniero nella pietra, custode della sua maledizione.
Il fantasma della strega Maria la Rossa
Ancora oggi, a Port’Alba, la leggenda vive. I librai e gli artigiani che lavorano sotto l’arco raccontano di porte che si aprono da sole, di voci che sussurrano nomi antichi, di libri che cadono dagli scaffali senza motivo. Nelle notti di vento, si dice che l’ombra di una donna dai capelli rossi attraversi lentamente la piazza, fermandosi davanti al gancio di ferro dove un tempo pendeva la gabbia. C’è chi giura di averla vista riflessa nelle vetrine dei negozi chiusi, chi sostiene di aver sentito un pianto lieve, come quello di una sposa abbandonata. E ogni volta che qualcuno la nomina a voce alta, un brivido percorre la schiena dei presenti, come se la sua anima, ancora prigioniera, ascoltasse.
Maria la Rossa, la giovane innamorata diventata strega, non fu mai davvero dimenticata. La sua storia, sospesa tra verità e leggenda, rimane una delle più oscure e affascinanti del folclore napoletano: il monito eterno di una donna ferita dall’amore e tradita dalla paura del suo tempo.
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Articolo scritto e pubblicato da: Il bosco delle streghe
